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domenica 27 dicembre 2020

2021-01 - I PROTETTORI DI SOLAROLO E LA FESTA DEL PATRONO

di Lucio Donati

I PROTETTORI DI SOLAROLO E LA FESTA DEL PATRONO
IL 20 GENNAIO NELLA STORIA

Intorno al 1776, in occasione della ristrutturazione della trecentesca Chiesa Arcipretale su progetto del faentino Giuseppe Pistocchi, fu distrutta una pittura murale datata 1485 raffigurante la Madonna, S.Antonio abate e S. Sebastiano; dal 1543 al 1573 nella stessa chiesa è censito un altare dedicato al Santo trafitto dalle frecce; se le preghiere dei Solarolesi erano dunque rivolte anche a quest’ultimo, è comunque indubbio che l’elezione a patrono avvenne non prima del 1536, poiché al 20 gennaio di tale anno sappiamo di una “bellissima festa” che si svolgeva a Stignano, località che dava il nome ad una antica circoscrizione territoriale, poi scomparsa, che comprendeva parte delle attuali parrocchie di Felisio e Gaiano.
È plausibile che in origine una devozione particolare fosse riservata alla titolare della Chiesa, la Beata Vergine, a cui la specifica di “Assunta in cielo” sarà stata attribuita in un secondo tempo.
Nel 1563 è menzionata la Confraternita di S. Sebastiano.
Se dunque verso la metà del secolo XVI S. Sebastiano può risultare nostro patrono, il ruolo doveva essere condiviso con S. Rocco: infatti le statue in terracotta dei due Santi facevano bella mostra nella facciata della chiesa del Rosario, costruita fra 1578 e 1584; queste due pregevoli opere d’arte sono andate perdute a causa del secondo conflitto mondiale.
Siamo comunque a considerare due Santi invocati contro le pestilenze, per cui è logico supporre che siano stati eletti a protettori, insieme o distinti, in occasione di grave calamità in tal senso.
Dal Settecento i due Patroni figurano insieme anche in documenti ufficiali della Comunità, oppure in opere di committenza privata, quale la targa ceramica datata 1726 e recante il nome di don Gregorio Manzoni.

Nell’Ottocento si affievolisce la devozione nei riguardi di S. Rocco, mentre già da un secolo i Solarolesi si rivolgono fiduciosi alla loro Madonna della Salute che nel 1904, con autorizzazione della Sacra Congregazione dei Riti, viene riconosciuta Patrona e Protettrice del Comune.
Tornando a S. Sebastiano, appare indubbio che il relativo culto locale sia da mettere in relazione con la fondazione del Convento dei Servi di Maria a Solarolo, nella cui chiesa si conservava oltretutto una reliquia del Santo (oltre a quella di S. Rocco), elemento questo certamente fondamentale e che fece passare in secondo piano la dedicazione canonica.
Ricordiamo infine che al nostro Patrono furono intitolati la locale Cassa Rurale di Depositi e Prestiti, nel 1902, ed il Circolo ANSPI, nel 1978.
Per la festa del Patrono abbiamo notizia solamente dal secolo XVII, quando la Comunità contribuiva con somme di denaro, al pari della festa di S.Rocco; nel 1704 fu ordinato dal Vescovo di Faenza di ridurre le relative contribuzioni, le quali contemplavano anche le “spese inutili per trombetrieri e simili”: è probabile quindi che si volesse dare maggiore opportunità alle celebrazioni religiose rispetto alle civili.
Il Monte li Pietà, divenuto proprietario del complesso, aveva l’obbligo perpetuo di dispensare ogni anno, nella r,’sra del Patrono, scudi lino di pane benedetto al clero, alle confraternite e al popolo: tale pratica è definita “consuetudine antica”, per cui si può presupporre che fosse propria della famiglia religiosa fondatrice del Convento.
Dal XXI secolo, quando la ricorrenza di S. Sebastiano si celebrava entro il Castello, ci è nota la pratica di accendere un gran falò, con recupero finale delle braci; interrotta la tradizione, si tentò di ripristinarla ad inizio ‘900, come si legge nel Numero Unico E fug tsa Bastièn (Il fuoco di S. Sebastiano), dove gli acculturati locali davano sfoggio di prosa e poesia di stampo prevalentemente satirico.
La raccolta delle braci, che da una fonte (Giuseppe Romolotti) si dice riservata ai poveri del paese, può essere invece ricondorta a pratica propiziaroria generalizzata; leggiamo comunque un passo dalla pubblicazione suddetta: «Poi anche l’ultimo tizzo si spegne e le braci languiscono a poco a poco lanciando ora un pallido riverbero attorno.
Allora, alle risate allegre subentra diverso un trambusto di donne e fanciulli, che si provvedono con arnesi capaci del fuoco, che dovrà poi in quella sera di vigilia riscaldare dai focolari domestici». Tuttavia non è dato a sapere se questa tradizione fosse antica o meno.
In tempi più vicini abbiamo una nota circa le funzioni religiose nell’anno 1931, tra le quali si evidenzia la Messa solenne in musica, con Panegirico del Santo, certamente declamato da un valido predicatore. Dismessa nuovamente la festa civile nella seconda metà del Novecento, è stata riproposta dalla metà degli anni ‘90 per merito della Federcaccia, prima, ed in seguito della Pro Loco.