TRA IL SENIO ED IL SANTERNO, pubblicazione di carattere sociale, civile e culturale per il territorio del Comune di Solarolo, a salvaguardia della sua identità, delle sue origini, della sua storia e delle sue istituzioni, sostenuto, curato e realizzato da COOP. LIBERTAS SOLAROLO Registrazione della testata: Tribunale di Ravenna, Num. Reg. Stampa 1463, data del Decreto che autorizza la registrazione: 16/02/2021. Sede, Redazione, Amministrazione: Corso Mazzini n.31 - 48027 Solarolo (RA) Proprietario ed Editore: Coop. Libertas Solarolo Soc. Coop. a.r.l. Direttore responsabile: Maurizio Cortesi. Lo stampato viene distribuito gratuitamente ad ogni indirizzo di Solarolo. Ciò è reso possibile poiché il giornale si sostiene economicamente con i soli corrispettivi dei suoi inserzionisti.

sabato 3 aprile 2021

2021-02 - Una chiacchierata con FABIANO VIOLANI - "il carro armato di Solarolo"

di Giovanni Barnabè

“Nel prossimo numero dobbiamo ricordare la Liberazione”.
“Va bene Francesco, hai un’idea?”
“No, ma domani andiamo da Fabiano e vediamo”.

L’indomani Fabiano Violani ci accoglie nella sua cucina e come prima cosa mi chiede chi sono. Specialmente quando si parla della guerra è purtroppo semplice far capire chi sono: mi basta dire “Maradè” e infatti mi conferma di aver conosciuto mio babbo, di conoscere i miei zii e mi racconta alcuni particolari sugli ultimi momenti di mio nonno in quel maledetto 1945.

Prosegue raccontandoci tanti aneddoti e di come su alcuni episodi ci siano più versioni, ma si sa, alcune cose non erano chiare allora, figuriamoci dopo 76 anni. Chiarisce subito di non essere un testimone oculare essendo nato nel 1945, e aver sentito le storie raccontate nel dopoguerra. Il resto l’ha fatto la sua passione per la storia che l’ha spinto a cercare conferme a questi eventi. Ci racconta che il famoso “Carro Armato di Solarolo” lo tenevano nel “casone” di casa sua.

Panzerkampfwagen IV
Era un Panzerkampfwagen IV, non di grandi dimensioni, ma con un cannone da 75mm la cui lunghezza non permetteva di chiudere il portone, quindi i Tedeschi tolsero le ante dai cardini e quando mettevano dentro il carro le appoggiavano.

Il 10 aprile del 1945 gli alleati si avvicinavano, girava voce che avessero attraversato il Senio alla “ciusaza”.

Intorno alle 15,00 i Tedeschi spostarono di gran fretta il carro armato, tanto che non tolsero neppure le ante ma ci passarono sopra (ancora oggi sono visibili i segni dei cingoli). Da casa Violani si spostarono nella zona dei “trulli” in via Padrina.

A casa di Fabiano in quel momento c’erano i suoi genitori, gli zii ed alcuni sfollati. Verso le 16,00 sentirono dei rumori e videro arrivare dai campi un Churchill.

Il mezzo si fermò davanti alla casa e da sopra videro uscire il capo carro che in un buon italiano chiese se c’erano i Tedeschi. Uno dei presenti rispose di no ed offrirono loro da bere ma questi, diffidenti, presero tempo e lasciarono che prima bevessero gli italiani, poi si tranquillizzarono, scesero e famigliarizzarono. Dopo qualche minuto risalirono sul carro ed il capo carro, togliendosi il giubbotto, salutò e disse: “Andiamo a liberare Solarolo”. Il carro armato ripartì in direzione del paese ma, appena uscito dalla copertura della casa, si sentì un forte boato e un colpo lo centrò al cingolo destro fermandolo.

Il colpo era stato esploso dal carro tedesco, probabilmente lo avevano visto arrivare ed avevano atteso che uscisse da dietro alla casa prima di sparare. Dal carro saltarono fuori i quattro soldati che urlando nella loro lingua corsero via attraverso i campi, mentre un altro colpo centrò la casa dove forse i Tedeschi pensavano si fossero rifugiati gli alleati.

Non trascorse neanche un’ora, una nuova esplosione, e la Torre crollò travolgendo 43 civili. Fabiano mi guarda commosso e conclude il racconto dicendo: “Se Occhiali, questo era il soprannome che i miei avevano dato al cannoniere tedesco, avesse sbagliato il tiro, ed il carrarmato inglese avesse proseguito il suo percorso e fosse arrivato in piazza ... chissà ...” .

[ G.B. ]


2021-02 - UN RICORDO DOVEROSO per RITA

di Giovanni Barnabè
UN RICORDO DOVEROSO

Non so come funzioni in una redazione, ma nel nostro piccolo quando chiudiamo il numero siamo felici, soddisfatti del lavoro fatto e delle collaborazioni raccolte.

Questa volta però non riusciamo a rallegrarci perchè la notizia della scomparsa dell’amica Rita ci coglie come un fulmine a ciel sereno.

E’ nostro dovere ricordarla con tutto l’affetto che merita per ciò che ha fatto e per ciò che ha rappresentato e stringerci in un abbraccio con Gioele, Metella e Nicola.

Rita
Personalmente la conoscevo “da sempre”, un po’ per la frequentazione dei figli nella Banda del Paese, un po’ per la passione per la bicicletta che mi portava a fare chilometri su chilometri il sabato e la domenica con Gioele ma soprattutto per la sua presenza fissa dietro il “bancone” della “Pesca Pro-Missioni”: appuntamento clou per un bambino solarolese negli anni 70.

In occasione delle Amministrative del 2009 eravamo in lista insieme: sapevo che era una persona di cultura, ma l’eleganza e la semplicità con la quale si confrontava con tutti noi mi colpì, la passione che ci metteva quando affrontavamo argomenti sociali o culturali era incredibile.

Non alzava mai i toni ma era trascinante, aveva un entusiasmo che contagiava: una sera le portai un progetto che avevo ricevuto dal responsabile degli scavi di via Ordiere sulle possibilità di sviluppo e valorizzazione dell’area archeologica e lei ne fu entusiasta, era come se avessi portato un giocattolo ad un bambino.

Non credo abbia mai negato un sorriso ed un aiuto a chi ne avesse avuto bisogno, sicuramente oggi ci lascia un dolcissimo ricordo ed un grande esempio.

[ G.B. ]


2021-02 - GUARDANDO IL CIELO - il cielo di primavera

di Roberto Baldini

RUBRICA - Appunti di Astronomia

IL CIELO DI PRIMAVERA

Il tempo scorre senza tentennamenti e la Terra procede puntuale lungo la propria orbita intorno alla stella Sole e ora ci troviamo verso la fine dell’inverno e l’inizio della primavera. Il nostro pianeta è una inesauribile sommatoria di elementi e fattori che lo hanno reso, per quanto ci è possibile verificare, unico ed eccezionale nell’Universo a noi finora conosciuto. La presenza dell’acqua, l’inclinazione dell’asse di rotazione, la distanza dal Sole, la forma dell’orbita, la presenza di quella sottile pellicola chiamata atmosfera e potremmo continuare con altri elementi che sono strategicamente essenziali per consentire ciò di cui ci ritroviamo a fruire su questo pianeta.

Una cosa che caratterizza gli appassionati di astronomia, ovvero coloro che vengono chiamati ASTROFILI, è la capacità di acquisire una granitica coscienza del valore incommensurabile del pianeta sul quale “siamo ospiti” e della necessità di preservarlo senza esitazioni e al di sopra di qualunque interesse di parte, ad esclusione di quello di sopravvivere (cosa che è strettamente vincolata alla preservazione del pianeta stesso).

Più osserviamo il cielo e di conseguenza ne comprendiamo caratteristiche e particolarità e più aumenta la consapevolezza di poter disporre solo ed esclusivamente di questo pianeta per poter continuare la nostra esistenza.

La nostra dimensione rispetto all’universo è disarmante e potremmo paragonarla a sentirsi come un granello di sabbia in mezzo al deserto. La cosa più inquietante è che stiamo acquisendo la sensazione di non essere soli in questo universo poichè anche la più pessimistica valutazione statistica ci impedisce anche solo di ipotizzare la nostra “unicità” ma, contemporaneamente, ci rendiamo conto dell’impossibilità di verificare la presenza e/o anche solo comunicare con qualunque eventuale civiltà o forma di vita sia presente.

La dimensione dell’universo e le distanze che separano pianeti, stelle e galassie, allo stato attuale delle conoscenze e nonostante gli incredibili progressi compiuti finora, sono tali da rendere impossibile una vera esplorazione dello spazio.

Ma la nostra fantasia ci consente di sognare e con la fantasia si possono raggiungere distanze inarrivabili e in tempi straordinari.


Ma torniamo a ciò che tutti possono vedere senza la necessità di particolari strumenti ovvero alzando semplicemente gli occhi al cielo all’apparire delle stelle. Come sempre dovete dotarvi di carta del cielo del periodo ed utilizzare le stelle più luminose e semplici da riconoscere per orientarvi e muovervi con lo sguardo seguendo allineamenti che avrete prima individuato sulla carta del cielo.

Il cielo di marzo è ancora caratterizzato dalla presenza di Orione ma è dominato dalla inequivocabile figura del Leone e dall’asterismo del Grande Carro che condivide le stelle principali con l’Orsa Maggiore. Il Leone è una costellazione con una grande estensione ed ha una forma semplice e facilmente riconoscibile, la sua stella principale è REGOLO. La Via Lattea invernale si sposta sempre più verso occidente, lasciando il posto ad un’area con una più bassa densità di stelle. Orione e il Cane Maggiore, con la luminosissima stella SIRIO sono sempre più basse sull’orizzonte, sostituite a sud dalla costellazione del Leone, la cui presenza indica l’arrivo prossimo della primavera, e dall’Idra, costellazione particolarmente grande quanto poco appariscente.
Trovare il Leone
Ad est, sono evidenti due stelle luminose: una, dal colore rosso arancio vivo, è Arturo, nella costellazione del Boote o anche detto “il guardiano dell’Orsa” mentre più a sud, troviamo Spica, la stella più brillante della Vergine, costellazione in cui è possibile osservare, disponendo di telescopio, un grandissimo numero di galassie. Arturo e Spica, insieme con Denebola (β Leonis), costituiscono l’asterismo del Triangolo di Primavera. Per individuare con semplicità Arturo è sufficiente guardare il timone del Carro Maggiore e seguire la curva verso l’orizzonte come se fosse un dito che indica e arriverete immediatamente alla luminosa Arturo. Seguendo ulteriormente lo stesso “sentiero”, superata Arturo troverete Spica.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A nord, il Grande Carro si mostra in questo periodo a pochi gradi dallo zenit (ovvero il punto più “alto” in cielo), ed è disposto praticamente “capovolto” alle latitudini italiane. Restano sempre osservabili, basse sull’orizzonte nord, le due figure di Cefeo e Cassiopea con la sua inconfondibile forma a W.

Verso ovest potremo osservare ancora la figura di Orione e dei Gemelli con Castore e Polluce le due stelle più evidenti, la stella Sirio e la splendida costellazione del Toro con Aldebaraan (il suo occhio) insieme all’ammasso delle accattivanti Pleiadi.

Continuando l’osservazione oltre le prime ore della notte, diverrà visibile a nord-est la brillante stella Vega della costellazione della Lira, che sarà dominante nei prossimi mesi estivi e inizio-autunnali.

[ R.B. ]

PER INFORMAZIONI SUGLI ASTROFILI IN ROMAGNA :
GRUPPO ASTROFILI ANTARES - ROMAGNA
OSSERVATORIO ASTRONOMICO DI MONTEROMANO


(Contenuti Extra presenti solo sul BLOG)
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APPROFONDIMENTI PER I PIU' APPASSIONATI
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Il mese è propizio per l'osservazione dei seguenti oggetti celesti, visibili anche con un piccolo binocolo:

    M35, un ammasso aperto nei Gemelli;
    M41, un ammasso aperto nel Cane Maggiore;
    la Nebulosa di Orione (M42), nell'omonima costellazione;
    l'Ammasso del Presepe, nel Cancro;
    l'Ammasso Doppio h+χ Per, in Perseo;
    M47, un ammasso aperto nella Poppa;
    M101, una galassia spirale nell'Orsa Maggiore
    la Galassia Sombrero (M104), una galassia spirale nella Vergine;
    M13, un brillante ammasso globulare nella costellazione di Ercole;
    M5, un ammasso globulare visibile nella costellazione del Serpente.


2021-02 - IL COMITATO COMUNALE ASP

di Diletta Beltrani

IL COMITATO COMUNALE ASP


Tutti i solarolesi ben conosceranno l’ASP della Romagna Faentina: si tratta infatti dell’Ente che ha attualmente in gestione la Residenza per anziani Bennoli.
Forse però non tutti sanno che nell’ambito della struttura organizzativa dell’ASP sono inseriti i Comitati Comunali, uno dei quali istituito ed operante anche nel Comune di Solarolo. Nata nel 2015 dalla fusione di due preesistenti realtà, tra cui la ex opera pia “prendersi Cura”, che già gestiva il Centro Anziani Bennoli, l’ASP della Romagna Faentina è presente sul nostro territorio (partecipata – in percentuali diverse – dai Comuni di Faenza, Brisighella, Castel Bolognese, Solarolo, Casola Valsenio e Riolo Terme) mediante la gestione di diverse residenze anziani e più in generale per cercare di fornire una risposta alle domande di assistenza provenienti soprattutto dalle fasce più deboli della popolazione, il tutto senza fini di lucro.

Per quanto riguarda Solarolo si tratta dunque di un ente che nasce ereditando una tradizione di assistenza già da tempo presente e radicata sul nostro territorio: non dimentichiamo infatti che il Bennoli esiste fin dalla seconda metà dell’Ottocento: l’originaria funzione di ospedale, ospitato nell’attuale struttura, eretta attorno alle metà del XIX secolo, è stata poi sostituita dall’attività di residenza per anziani.

Ed alcuni solarolesi, nei locali del Bennoli hanno anche frequentato la scuola media!

Le fondamenta dell’ASP sono dunque ben radicate sul territorio: da qui la naturale conseguenza dell’interesse a mantenere saldo il forte legame con le comunità di riferimento, legame derivante dalla tradizione e dalle relazioni con il tessuto sociale, con lo scopo di favorire la partecipazione e la trasparenza, perseguendo la vicinanza ed il contatto diretto con la comunità come elementi di valore.

Trovo giusto ed importante che sia così, anche per la sensibilità degli ambiti in cui l’ASP quotidianamente opera.

E proprio al fine di coltivare questa unione con i territori, tra gli organi di partecipazione dell’Ente è costituito in ciascun Comune socio, nel quale siano presenti servizi e/o beni immobili dell’ASP della Romagna Faentina un Comitato Comunale, quale organismo locale di partecipazione, di rappresentanza degli interessi del territorio, di promozione della solidarietà e della cittadinanza attiva e di confronto con gli organi dell’Azienda.

I comitati comunali sono composti da cinque membri nominati dal Sindaco, ad espressione e rappresentanza delle associazioni di volontariato e sindacali presenti sul territorio e con interesse e conoscenza dei servizi alla persona. Nella composizione attuale il Comitato Comunale di Solarolo è composto, oltre che dalla sottoscritta, indicata dalla minoranza consiliare, anche da Antonio Bacchilega, Maurizio Camorani, Luigi Mainetti e Luigi Fagnocchi.

Il ruolo di questi comitati è sulla carta meramente consultivo e può distinguersi in due ambiti: uno più formale, riguardante l’amministrazione dell’Ente, che si esplica mediante l’espressione di un parere nei casi in cui l’Ente debba procedere ad alienazioni di patrimonio immobiliare disponibile e/o a modifiche alla capacità ricettiva dei servizi residenziali e semiresidenziale e nell’espressione, una volta all’anno, di un parere sul piano di gestione dei servizi e sul piano di conservazione, valorizzazione ed utilizzo del patrimonio da parte dell’Azienda.

Ma lo stesso Regolamento per la costituzione ed il funzionamento dei comitati comunali dell’ASP, attribuisce ai comitati una ulteriore ed interessante funzione: di svolgere cioè anche “compiti propositivi, formulando agli organi dell’azienda, sulla base dell’analisi e dello studio dei bisogni espressi dal territorio, indicazioni e proposte per far fronte agli stessi attraverso nuovi servizi o interventi sperimentali”.

Ritengo che si tratti del compito più importante attribuito ai Comitati Comunali, che li rende adatti a raccogliere bisogni, suggerimenti e indicazioni, per poi farsi da portavoce presso l’ASP di quanto acquisito dai propri concittadini.

Auspico che l’attuale Comitato Comunale possa realmente e concretamente fare da tramite tra la popolazione e l’Azienda, attuando quella collaborazione che può e deve essere alla base di una risposta puntuale ed attenta ai bisogni di tutti ed in particolare delle fasce più deboli della popolazione.

[ D.B. ]


2021-02 - PERLINE COLORATE - La Galereja... di persunegg de mi paes - Jago d’Sintaja

di Giorgio Montanari
RUBRICA : PERLINE COLORATE
La Galereja... di persunegg de mi paes

E’ dutor Jago d’Sintaja!

Jago Drei nato a Slarol in ca d’Sintaja, figlio di Tiglio de’ Frab e quindi solarolese doc, si laureò in medicina nel lontano 1958, specializzandosi poi in Pediatria ed Igiene. Fino al 1965 prestò servizio presso l’Ospedale di Castelbolognese, esercitando nel contempo anche la libera professione a Solarolo. Recentemente ho letto su Facebook come valutava il nostro cerusico la gente di Solarolo, temporibus illis. La signora Luisa Bandini ha scritto in un post:
“ Mio babbo diceva che il Dott. Drei mi aveva salvato la vita quando ero piccola.”
Il signor Paolo Cani scrive:
“Il miglior dottore che abbia mai visto a livello umano e professionale.”
E potrei continuare... credo comunque che basti per concludere che se il buon giorno si vede dal
mattino... andiamo da Dio!
Questa fama di bravo cerusico, preparato, disponibile, attento e scrupoloso, non l’ha mai
abbandonato, nemmeno a Villa Vezzano e a Brisighella, dove ha prestato la sua opera fino alla
pensione.
I suoi pazienti alla fine della sua lunga carriera professionale, lo hanno festeggiato, dedicandogli
un significativa zirudela, nella quale lo glorificavano come cerusico, elencando anche i suoi
meriti come abile cacciatore, eccellente pittore, esperto di musica classica ed infine come
appassionato cantante lirico, non professionista..
Ha avuto in cura durante il suo, direi quasi apostolato, anche diversi artisti, tra i quali i famosi
ceramisti Cornacchia Adelmo e Walter Bartoli con la consorte Velda Ponti pittrice eccelsa, nota
anche per avere primeggiato per oltre un mese a “Lascia e raddoppia“ nel 1957.
Non solo, ma è stato anche medico personale ed amico di uno dei più celebrati pittori del 900,
l’eclettico artista Mattia Moreni, che viveva nelle Calbane.
Inoltre ha avuto l’onore ed il piacere di avere come paziente perfino il Cardinale Achille Silvestrini,
uno dei più potenti ecclesiastici del Vaticano, già Ministro degli Esteri e non solo, scomparso non
molto tempo fa.
Il Cardinale si era così affezionato al nostro compaesano da invitarlo insieme alla signora Emilia
a casa sua a Roma, nella palazzina della Zecca entro le mura del Vaticano, coprendoli di ogni
attenzione e facendo loro da cicerone nei Musei Vaticani e nella incomparabile Cappella Sistina.
Nel periodo della maturità Jago ed Emilia avevano aperto le porte della loro villa situata in
mezzo al verde di Villa Vezzano a personalità autorevoli e ad illustri artisti, facendola diventare
una sorta di cenacolo.
Da loro potevi incontrare il Pretore di Faenza dott. Piero Tortolani, il magistrato-scrittore
Giuseppe Toni, meglio noto come Pino dla Maistrena, solarolese doc con la consorte Bice, pittrice
di grande talento, oltre al già citato Mattia Moreni, artista multiforme di alto profilo, degno di
stare sullo stesso piano del celeberrimo Picasso.
Questo è stato ed è Jago Drei nella sua veste ufficiale, ma io non potevo non andare a scovare anche le passioni giovanili del nostro cerusico!
Sapevo che si era dedicato al calcio, perché nella squadra ufficiale di Solarolo in cui militava lui, c’eravamo anche io e Peval, suo fratello, che Dio l’abbia in gloria!
E sapevo anche che amava la caccia in tutte le sue forme, perché in quegli anni accompagnava spesso lo zio Cencio e Zig, un “uccellatore” di chiara fama, nelle campagne attorno al paese, a caccia con le reti, anche laterali, sempre munito di richiami, a dir poco, eccezionali.
Ma che praticasse anche il ciclismo e cantasse con voce tenorile nelle case private non lo sapevo.
Me lo ha scritto la prof. Maria Morini di Solarolo, meglio nota come Maria d’Gnezi, precisandomi che coi suoi sodali Tino de’ Dazir e Arrigo e’ fiol de Sendic Tellarini andavano spesso a Marradi, Modigliana, Ghiandolino, Fontanelice e scalavano perfino il passo del Muraglione, e quello della Colla, imprese epiche per quei tempi cun dal biciclitazi e dal stre non asfaltedi! (con delle biciclettacce e delle strade non asfaltate).
Ma la sgambata regina fu quella che, con le strade dissestate di allora, piene di buche e di sassi sparsi sulla carreggiata, fecero Jago e Tino da Solarolo fino in Piazza della Signoria a Firenze, dove c’erano le ragazze che avevano viaggiato in treno, ad attenderli.
Nel viaggio di ritorno con qualche ciclista in gonnella al seguito, viaggio che durò un giorno intero, ne successero di tutti i colori.
Ad un certo punto quando Solarolo era ancora lontano, finirono i tubolari ed essendo domenica fu impossibile trovare un meccanico e quindi i nostri eroi si sedettero ai margini della strada in attesa della... divina Provvidenza!
“Allora comparve Arrigo, come un angelo salvatore” narra la Morini ”con una scorta di tubolari, che aveva deciso di venire incontro ai suoi amici.” “A Faenza” racconta ancora Maria “forai anch’io e il viaggio finì a sera con me sul cannone di Jago e la mia bici condotta a mano da Arrigo”. Per quanto infine riguarda le performances di Jago e dei suoi amici nelle vesti di cantanti lirici... a domicilio... ecco quanto mi riferisce la solita Maria: “Certe sere, poi, gli spettacoli si inventavano con qualche straccio addosso. I presenti, a parte noi di casa, erano quattro o cinque: Tino, Jago Drei, Arrigo Tellarini, Mino Mainardi,,, ecc. Erano in ordine, soprano, tenore, baritono e basso. Ricordo, in particolare, il finale dell’Aida di Verdi con Tino (Aida)
e Jago (Radames) cantato nella “tomba” costituita dal sotto tavola della mia cucina.”
Il nostro cerusico, dobbiamo riconoscere che non si è proprio fatto mancare nulla!
Dimenticavo di dirvi che ha perfino intervistato per conto del giornale locale “Il Senio“ il giudice Pino dla Maistrena quando pubblicò il suo primo libro “La gente del mio paese” e scritto di caccia e di ornitologia a quattro mani con il predetto Pino.
Ma che Jago sia stato un personaggio straordinario lo devono riconoscere, secondo me, in qualche modo, anche i maggiorenti di Solarolo e gli addetti alla carta stampata locale!
Oggi Jago ha qualche problema agli occhi e quindi non legge più, ma è talmente innamorato del suo paese natio, che si fa leggere spesso dalla adorata moglie Emilia e dalla solare figlia Cecilia il mio libro “Parò Lì l’am guerda a me“ per ritrovare la gente del suo paese e per ricordare i fatti solarolesi accaduti durante la nostra giovinezza.
[ G.M.]


2021-02 - A Paolo d’Sintaia ...zirudela per un amico

di Fosco Beltrani
RUBRICA - Zirudeli d'Slaròl 

A Paolo d’Sintaia
...zirudela per un amico





BIn cu in te zil ujè una gran confusiò
l’ariva j’ultum cun e barcò.
Tutta l’area è presidiata
ogni uscita è transennata.

E responsabil sta sistuaziò il ciama Pirè
e a déta d’tott l’è propri bò e purè.
Ui guerda, ui stugia e ui divid tott
e un fa distinziò fra bel e brott.

Ehi, te acsè elt sai fet in te mezz a sta marmanaia?
Mo te t’an ci Paolo, Paolo d’Sintaia?
Mo vo cum fasiv a savè chi casò me
in te mezz a tota sta zet acquè?

A t’aspitegna tot a braza averti
e non vedavamo l’ora di vederti.
Sai il mio capo, quello che sta in altura
u mà det c’la bsogn urgent d’una particulera saldadura.

Mè am so infurmè se acquè u’jera quicadò
Che putess fè sta lavor cun cumpeteza e pasiò.
I ma det tott che il meglio per questi lavorini
È un certo Paolo Drei di Solarolo, Via Mazzini.

Ades che t’cì arivè metat mo a e lavor
An voi miga fè brota figura cun e mi signor.
L’attrezzatura l’è d’la in t’la camaraza
dai Pavlì t’am pis, t’e propri una béla faza.

Quand pu t’e finì la saldadura
vest che t’ci ô c’un ha paura
ui s’reb dafè nec un po’ d’vuluntariè
par aséstar e purtè in zir i piò sgraziè.
Ohi Pirè st’am a sintì un bisinè;
mo par ciamem a qua t’e fat un bel casè.
Avut che seia fem de ac’sé una sbarandlè
che am so quesi avù d’amazè.

Ades ajò incora un pò mel a la testa
e avreb fé un pò ed festa.
Vorrei farmi vedere da qualcuno. Dammi una mano
e dimmi “Ma dove posso trovare la San Damiano?”

Mo sét pu questa ec straza d’riseda c’là,
mo cum fai a t’nila incora a qua?
Mo e fat l’è che stì l’ariva ed gran corsa e molto decisa
la corr adoss a Paolo e la l’abraza. “ Mo t’cì te, t’cì la mi Isa?”

Dai ven a qua la mi béla babinona.
Quant t’am ci amancheda par la magrona.
Dai Pirè lasa ca féga du pés cun e mi amor,
dai zerca ed capì, dai fa poc armor.

D’cuntei tanti rob ades an veg l’ora.
Ma tu lo sai Caro Pietro, questa è la mia Signora
Che a vòi pù cl’am déga se truvè mama e babb l’ha s’ra dura
e pù va là, che dop at farò nec la saldadura.

[ F.B. ]

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2021-02 - IL PALAZZO RONDININI A SOLAROLO - Storia locale

di Lucio Donati

RUBRICA - STORIA LOCALE

IL PALAZZO RONDININI A SOLAROLO

Più conosciuto come “Palazzone”, si trovava precisamente nell’antico distretto di Stignano di Solarolo ed è stato demolito a seguito degli eventi della seconda guerra mondiale, essendo oltretutto stato requisito dalle truppe tedesche come sede di comando. Si è conservato l’Oratorio dedicato alla Natività di Maria Vergine, che era inglobato nell’edificio.

Un poco di storia è già stata da me scritta nell’opuscolo “La devozione tra i campi” (1998), ma ora siamo in grado di ripercorrerla dalle origini, quando il capitano Orazio Rondinini di Faenza commissiona progetto e direzione dei lavori all’architetto imolese Domenico Belegatti detto “Bassotto” (notarile di Imola, G.B. Dal Pero, rogito datato 11 giugno 1602).

Nel contratto era previsto che le fondamenta dovevano essere approntate entro maggio 1603, ma non si indica la fine dei lavori, che comunque sappiamo terminati sicuramente entro il 1611.

Del palazzo ci restano svariate foto della facciata, riprodotte in cartolina, ma anche due vedute dipinte dal faentino Tomaso Dal Pozzo (1862 - !906) che raffigurano la parte posteriore, dove era un ingresso con scalinata a due rampe che potrebbe risalire al 1705, quando l’edificio viene “riparato e restaurato”.

In origine infatti doveva presentare un aspetto con deciso carattere difensivo. L’interno era caratterizzato da un vasto salone, in cui nel Settecento si svolgevano feste da ballo ad invito; verso il 1903, su invito della contessa Fanny Revedin, vedova del conte Ercole Magnaguti, il detto Dal Pozzo eseguì una pregevole decorazione nella quale spiccavano i paesaggi relativi alle quattro stagioni: di tutto questo sono rimaste almeno alcune riproduzioni fotografiche. Anche il tondo in maiolica con Madonna e Bambino (presente nell’oratorio) sembra sia stato realizzato dal pittore e ceramista Dal Pozzo, forse con intervento nella plastica da parte di Domenico Baccarini. Dall’ingresso principale un viale contornato da folta alberatura conduceva alla via Felisio, ma piantumata forse a metà Ottocento, poiché nel 1750, quando parte del palazzo e la stalla per cavalli vengono affittati, si menziona solo un vasto prato, il quale doveva contenere anche un orto.

Il palazzo fu dunque fatto erigere dal ramo nobile faentino dei Rondinini, originari di Villa Vezzano, i quali già nel XV secolo avevano acquistato terreni in Solarolo; quando il ramo si estinse nel 1851, l’eredità passò da Faustina, moglie del conte Ludovico Magnaguti di Mantova, a questi ultimi, poi nella prima metà del Novecento ai Piancastelli e nel dopoguerra Oratorio e terreno attiguo divengono proprietà Brialdi, oggi Missiroli. Faustina Rondinini morirà nel palazzo stesso nell’anno 1862.

[ L.D. ]


venerdì 2 aprile 2021

2021-02 - Da birocciaio a frustatore - Sbruzai, S-ciucaré : La tradizione della mia famiglia

di Arianna Cassani
Il 16 agosto del 1931 a Solarolo nasce il maestro Angelo Cassani. Nelle vecchie tradizioni si usava dare un soprannome alle famiglie e la mia era soprannominata “Burgnaqual”, così mio babbo Angelo era per tutti Giuli’ d’Burgnaqual.

Erano 9 fratelli che babbo Mario e mamma Giovanna si portavano dietro nei campi fin da piccoli, con in mano una fetta di pane e un pezzo di salsiccia. Iniziarono la scuola ma Angelo non era appassionato così dopo 6 anni la abbandonò per scarso rendimento, dedicandosi interamente al lavoro. Il padre subito lo indirizzò nella guida del carro con i cavalli per il trasporto della ghiaia, da caricare nel fiume a mano con il badile e da scaricare anche a Bologna. Per dare il passo ai cavalli si usava la frusta e incitati dal padrone i cavalli sapevano perfettamente la strada da percorrere, tanto che spesso se il padrone si addormentava nel biroccio trovavano da soli la strada di casa.

Questo fu il lavoro di Angelo fino a quando arrivarono i camion che sostituirono carri e cavalli. Il passo da birocciaio a camionista fu breve. Nel 1959 si sposò con mamma: Maria Teresa. Dalla loro unione siamo nati Giuseppe, Angela ed io. Dopo 40 anni babbo si stancò di girare nel traffico, vendette il camion e con il ricavato decise di ampliare la sua azienda agricola e di comprare cavalli ed altri animali.

Negli anni la passione per la frusta non lo aveva mai abbandonato e alla fine degli anni 70 si fece convincere dagli amici Giani d’ Barilè e Giuseppe Sgubbi a fare quei ciocchi della frusta a tempo di musica. Con altri ragazzi del paese e mio fratello Giuseppe iniziarono “l’arte del cioccarino” (frustatore).
I frustatori iniziarono ad accompagnare la banda del paese nelle varie feste paesane e ad esibirsi un po’ ovunque, anche nelle aie accompagnati da un semplice giradischi. Dopo un paio d’anni, all’inizio dell’80, con una nuova divisa e altri colori, decise di formare un gruppo tutto suo e gli diede il suo cognome, nacque così il “Gruppo Frustatori Cassani di Solarolo”. Insieme a Giuseppe insegnarono a tanti ragazzi di Solarolo e dei paesi limitrofi e continuarono a portare in tutto il mondo la nostra Romagna con il suono delle fruste abbinandosi ad altre bande e orchestre. Il Gruppo si fece notare partecipando a gare di frusta portando a casa molti titoli sia in singolo che in coppia.

Parteciparono anche a trasmissioni televisive molto conosciute. A metà degli anni 80 anch’io decisi di seguire le orme di mio babbo e di mio fratello iniziando con la frusta a seguire la passione della famiglia. Gli anni trascorsero velocemente e nel 1991 conobbi Claudio saxofonista e cantante che faceva parte della banda di Imola. Pochi anni e ci sposammo portando avanti la tradizione insieme: oggi Claudio è Maestro di frusta e giudice di gara. Abbiamo portato il nostro spirito anche all’estero ottenendo un po’ ovunque riconoscimenti.

Fra i tanti premi ricevuti mi piace ricordare i vari alla carriera e quello di miglior frustatore della Romagna. Nel 2001 e nel 2005 nascono Michele e Raffaele e ovviamente non potevano che iniziare a frustare prima di camminare. La frusta oggi ha avuto un’evoluzione grazie a coreografie e musiche nuove ricercate soprattutto dalle nuove leve.

Nel 2017 abbiamo deciso di crescere come attrezzature e come impegno riuscendo ad aprire anche una scuola di ballo con tante discipline e tanti maestri, continuando inoltre le varie collaborazioni con altri gruppi e altre realtà. Recentemente si è unita a noi una nuova ballerina da Cesenatico: Cecilia, che diventa la compagna di Michele prima nel ballo e poi nella vita, impara a frustare e subito si distingue nelle gare con diverse vittorie. Tanti premi tante soddisfazioni, ma la gioia più grande è divertirsi e far divertire il pubblico, lasciando un ricordo nel cuore ed un sorriso.

Questa è una passione di famiglia raccontata in poche righe che si tramanda di generazione in generazione grazie ai bisnonni e a nonno Mario che l’hanno trasmessa a Angelo, per farla poi arrivare ai nipoti. PER NOI E’ LA VITA. Voglio ricordare ancora mio padre ed il suo legame con Solarolo, legame che lo portava a sentire il dovere di essere sempre a tutte le ricorrenze, a tutte le sagre, con la sua frusta in mano, anche da solo e sotto la pioggia, gli bastava una polka ed un giradischi per celebrare l’occasione. Come dimenticare poi le magnifiche parate che il pomeriggio del giorno dell’Ascensione partivano da casa nostra (ovviamente dopo un buon pranzo) con carri, cavalli, sbandieratori, majorettes, bande, fruste ecc… per arrivare nella piazza del paese. Per tutto il pomeriggio inoltrato e a volte anche la sera era un susseguirsi di balli musiche e frusta.

La passione di un ragazzo con gli occhi azzurri come il cielo che amava definirsi “istrione comico”, con un grande sorriso ed una vitalità travolgente, è arrivata fino ai nipoti. Questa è la “favola” di una bella e sana tradizione Romagnola che da lavoro è diventata divertimento. L’immagine delle evoluzioni aeree e a terra di cui era protagonista con la frusta e delle quali era molto fiero sono ancora negli occhi di chi lo ha visto. Oggi con orgoglio posso affermare che il “Gruppo Frustatori Cassani” è considerato il Gruppo che meglio rappresenta la Romagna nel mondo. Da oltre 40 anni portiamo in giro la tradizione di famiglia con orgoglio, ricordando i birocciai e lui: il Maestro Angelo Cassani al quale personalmente devo tutto ed il cui spirito abbiamo cercato di trasmettere al nostro gruppo: una famiglia formata da famiglie.
Grazie babbo, sei stato e sei un Grande!!!

[ A.C. ]


2021-02 - I protagonisti della Banda - Il Prof. Raffaele Babini, per tutti Raflè d’Zanfara

di Fabio Baldi
Tra le varie peculiarità che identificano l’anima di Solarolo, vi è quella di possedere, da oltre 200 anni, una propria banda musicale. Si tratta di una istituzione che oltre ad avere una componente culturale profonda e radicata nel tempo, rappresenta un importante momento di aggregazione per tutta la comunità. In un periodo di tempo corrispondente agli anni 70 e 80, almeno la metà dei ragazzi solarolesi si è cimentata nello studio di uno strumento musicale.

Io ero uno di questi. Fin da bambino iniziai a frequentare la scuola di musica entrando poi a far parte della banda nella primavera del lontano 1978. Per me fu quello il primo vero incontro con il mondo degli adulti. In quell’ambiente trovai personaggi schietti, autentici, ormai difficili da trovare nella nostra attuale società. E’ con il ricordo e una breve narrazione di alcuni di loro, che vorrei dare una descrizione di quell’ambiente nel periodo che ha rappresentato l’adolescenza e la gioventù di chi, come me, è nato negli anni sessanta. Inizio con il primo protagonista della banda con cui venni a contatto.

Claudio Folli, Davide Cassani e il Prof.Raffaele Babini

Prof. Raffaele Babini, per tutti Raflè d’Zanfara

Era l’insegnante che teneva il corso di scuola di musica per i clarinetti e i saxofoni. Io lo ricordo alto, magro, con gli occhiali e la sigaretta sempre accesa. Era un bravo maestro: metteva subito a proprio agio i nuovi allievi e con estrema semplicità ci insegnava la divisione del tempo, prima ancora che alle scuole elementari, avessimo affrontato il concetto matematico delle frazioni.
Contrariamente a quanto avviene oggi, la parte didattica dedicata al solfeggio, durava tantissimo tempo, e lui sapeva come rendercela meno noiosa. In seguito, a partire dal secondo o terzo anno di studi, per chi era in grado di suonare discretamente, si aprivano le porte del palcoscenico della sala del cinema (oggi purtroppo demolita) dove ogni anno, a fine corso, si teneva un saggio molto atteso da genitori, parenti e amici.

Raggiungere quel traguardo, che sarebbe stato il preludio all’entrata a far parte della banda, non era però semplice perché non tutti gli allievi erano intenzionati ad impegnarsi. Ciò era abbastanza frequente, in quanto la scuola di musica era completamente gratuita. In questo modo si permetteva la frequentazione ai ragazzi meno abbienti, ma anche a tutti coloro, che non erano interessati alla musica.

In un mondo dove non ci si incontrava sui social, frequentare il corso della banda era una bella occasione per uscire, incontrare gli amici e giocare. Tutto ciò era favorito dal fatto che le lezioni erano individuali, per cui sia prima, che dopo il proprio turno, c’era la possibilità di trascorrere del tempo con gli amici. Le lezioni avevano luogo in una porzione di corridoio al piano primo all’interno dell’edificio delle scuole elementari.

Noi ci soffermavamo nel corridoio del piano terra per giocare, far la lotta, chiacchierare e comunque far baccano. A volte, infastidito dall’eccessivo rumore e con il timore (fondato) che ci potessimo far del male, Raflè si affacciava dalle scale e faceva due urli minacciosi: “ne parlo con i vostri genitori, non vi faccio più venire” …sapevamo che non lo avrebbe fatto, ci voleva bene ed era una persona buona e tollerante.

Lo era, a suo modo, anche con chi ideologicamente non la pensava come lui, che era militante di sinistra. Oggi questo concetto sembra scontato, ma non lo era in quel tempo di forte contrapposizione politica tra comunisti e democristiani.

Era anche un ottimo strumentista ed esecutore, col clarinetto, degli assoli che arricchivano il repertorio della banda. Tutto questo però mi è stato solamente raccontato. Non ebbi mai la soddisfazione di suonare in banda con lui perché prima che io ne entrassi a far parte, una brutta malattia se lo portò via.

[ F.B. ]


2021-02 - L' Angolo della cucina - Primo, Secondo e dolce

di Ambra Mambelli
L'ANGOLO DELLA CUCINA

PRIMO,
SECONDO E DOLCE




TAGLIATELLE (RIPIENE) ALLE SFIANDRINE

Potrebbero assomigliare a queste?

DOSI PER QUATTRO PERSONE:
sfoglia di 3 uova

Ripieno:
• 150 gr ricotta
• 100 gr formaggio morbido
• 100 gr parmigiano Reggiano ben stagionato
   (almeno 24 mesi)
• 2 uova intere
• erba cipollina

Condimento:

• 200 gr di sfiandrine
• 1 noce di burro
• Sale e pepe

Le sfiandrine sono funghi che crescono spontaneamente nei ceppi delle betulle. Un’Azdora che si rispetti, sa riconoscerli: molto profumati, in Romagna vengono mangiati anche cotti alla brace.
In commercio si trovano coltivati in balle di fieno, negli ultimi anni, si può acquistare una di queste balle e auto prodursi sfiandrine in cantina.
In alternativa si possono utilizzare anche i porcini freschi, sicuramente più pregiati ma anche molto più costosi.
Tirare la sfoglia rotonda non troppo spessa, spalmare mezza sfoglia con la crema di formaggio ottenuta amalgamando formaggi uova ed erba cipollina.
Chiudere con la metà vuota formando una grande mezza luna, pressare delicatamente per far fuoriuscire l’aria.
Tagliare con la rotella tagliapasta dentellata delle strisce larghe 5/6 mm. In una capiente padella fondere la noce di burro e cuocere a fuoco vivo le sfiandrine tagliate a juliene, salare e pepare a piacere.
Cuocere in abbondante acqua salata le tagliatelle, quando emergono trasferirle nella padella con le sfiandrine e saltarle fino a completarne la cottura, aggiungendo, se necessita, acqua di cottura.

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Ricette tratte da:
“Ricette dalle cucine romagnole”
di Ambra Mambelli - Edizioni Romano

CONIGLIO ALL’UOVO

Animale da cortile che solitamente l’Azdora allevava per venderlo al mercato e ricavarne qualche soldino per i fabbisogni della casa era il coniglio. Qualche volta però il soprannumero permetteva “il lusso” di poterlo proporre in tavola. Ecco una ricetta “storica” di come veniva cucinato, che si adatta pienamente anche alla cucina odierna.

INGREDIENTI:
1 coniglio,
2 uova,
succo di 2 limoni,
100 gr di parmigiano,
100 gr pangrattato
1 noce di strutto (oppure olio)



Lasciare macerare un notte il coniglio tagliato a pezzi amalgamato da una salsa ottenuta mescolando uova e succo di limone e un pizzicotto generoso di sale.
La mattina successiva adagiarlo in una pirofila e cospargerlo di pangrattato, parmigiano e la noce di burro.
Infornare a forno caldo (150°) e cuocere per 2 ore girandolo una sola volta a metà cottura.

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BUDINO DI PATATE (con le mandorle)

INGREDIENTI:
½ litro di latte intero
gr 300 di patate pasta bianca
gr 150 zucchero
3 uova intere
gr 50 mandorle
un cucchiaio di liquore di mandorla amara o qualche goccia di estratto.

Mettere il latte sul fuoco, grattugiare le patate aggiungerle al latte bollente e cuocere mescolando per circa 2 minuti, spegnere e lasciare riposare 10 minuti.
Nel frattempo sbattere le uova con lo zucchero aggiungendo le mandorle, precedentemente tostate in padella antiaderente per qualche minuto e tritate finemente, e il liquore.
Caramellare 50 gr di zucchero e versarlo nella base di uno stampo da budino.
Amalgamare tutti gli ingredienti e versarli nello stampo.
Cuocere a bagnomaria a 180° per 40 minuti circa.

Una volta completamente raffreddato rovesciarlo in un piatto e guarnirlo con altre mandorle tostate tritate.

[ A.M. ]

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giovedì 1 aprile 2021

2021-02 - Ricordando un “vecchio lavoro” - una storia solarolese

di Maria Morini
Una storia solarolese
"il soffitto della chiesa di Gaiano"

Mi è stato chiesto di descrivere, per il simpatico giornalino della Coop.Libertas, il significato del soffitto della chiesa di Gaiano. Ho accettato, nonostante la difficoltà dovuta in gran parte alla mia età (93 anni), alla consapevolezza di parlare di un’ “opera” priva “di senso comune” e al fatto che sono costretta a fare riferimento a mie vicende personali, che non interessano a nessuno.

Interno Chiesa Gaiano (foto R.B.)

Sono nata il 17 ottobre 1927 in una famiglia di “coltivatori diretti” che, pur essendo a volte anche costituita da nove persone, doveva vivere sul reddito di tre ettari di terra (in via Buratella) ereditati dalla nonna paterna (faentina) nell’anno 1900. I miei genitori, Aldo e Emma, a causa del mio aspetto fisico e caratteriale, inadatto al lavoro dei campi mi permisero di continuare gli studi, che amavo, anche dopo le scuole elementari frequentate prima a Gaiano poi a Solarolo. La scelta del Liceo-ginnasio E.Torricelli di Faenza fu dovuta al fatto che in città abitava la sorella del mio babbo che mi avrebbe ospitato durante la settimana. Inoltre si trattava dell’unica scuola pubblica di carattere letterario e non matematico-scien
tifico. Dopo cinque anni ottenni la licenza ginnasiale, anche se l’anno scolastico 1943-44 non era ancora concluso. Me ne ritornai a casa in bicicletta verso la fine di maggio, dopo il primo bombardamento di Faenza. Da quel giorno, per molto tempo, di scuola non si parlò più. Lo sanno i miei coetanei (o quasi). Avevo allora sedici anni. Non è qui il caso di raccontare le vicende di quella guerra, di quel periodo terribile che terminò il 25 aprile 1945. 

(foto R.B.)

Non terminarono però i disagi che aveva creato.

Per la mia famiglia significò la morte di mio cugino Taddeo (14 anni) trafitto da una scheggia di granata e più tardi da quella di suo padre Ermenegildo per lo scoppio di una mina. La famiglia si era ridotta con il dolore e i disagi di cui è inutile parlare qui. Avevamo abbandonato, costretti dai tedeschi, la nostra casa all’improvviso, senza sapere dove andare e come. Su un “birroccio” trainato da due mucche raggiungemmo il paese, ospitati da famiglie generose, poi decidemmo di allontanarci dal fronte e arrivammo con lo stesso mezzo, forniti di un materasso e una coperta ciascuno e con un sacchetto di fagioli a Sesto Imolese.

Babbo conosceva una numerosa famiglia di contadini che ci ospitò per alcuni mesi con grande generosità. Finita la guerra arrivammo a piedi a Barbiano, dove ci fermammo a casa dei miei nonni materni. La nostra casa non esisteva più. Furono costruite con i ruderi due stanzette che ci permisero di riordinare un po’ il terreno sconvolto dalle bombe per coltivare qualche pianta e allevare galline e conigli.
Primo settore (foto R.B.)

Di scuola, naturalmente non si parlò più. Mia cugina Mina scelse il “taglio e cucito” riuscendoci bene. Io facevo un po’ di tutto (ho filato, tessuto, cucito...).

Inutile trattare qui i disagi di quel periodo, quando c’era poco da mangiare, non avevamo biciclette, ma nemmeno abiti, scarpe, stoviglie da cucina. Cercavamo di tutto tra le macerie della casa, perfino le pagine dei libri che mi ricordavano i vecchi compiti, gli insegnanti, i compagni (alcuni dei quali avrei rivisto dopo anni). Ritrovai invece le amiche della mia infanzia, quelle che incontravo almeno la domenica, che furono per me un grande sollievo. La parrocchia era il punto di ritrovo più comune, dove si poteva giocare, chiacchierare e persino...recitare. Fin dal 1942 era parroco di Gaiano mons. don Giulio Foschini.
Secondo settore (foto R.B.)

Anche lui dovette pensare alla riparazione di alcuni danni subiti dalla chiesa.

Si arrivò così al 1952. Fino ad allora il tetto dell’edificio era retto da una struttura a capriate, come era certamente fin dalle origini (di cui non si conosce la data) e com’è ancora oggi quella di Casanola. Don Foschini, dovendo rifare il coperto, in gran parte danneggiato, decise di rinforzarlo con travi in cemento armato ricoperte poi da una intelaiatura di legno di castagno disposta a riquadri, cassettoni regolari, della misura di cm 75x75. Ne sarebbero derivati 144. Sarebbe poi stato necessario ricoprirli.

La decisione era suggerita non solo da motivi estetici, ma dalla necessità (a parere del parroco) di riscaldare un poco l’ambiente nei mesi invernali. Dovendo scegliere il materiale per i pannelli, che doveva essere leggero, al legno compensato, facilmente deformabile, si preferì la faesite (cartone compresso) facile da mettere in opera e di costo non eccessivo.

Terzo settore (foto R.B.)


Tuttavia il colore era considerato troppo scuro e insignificante. Non so come venisse al parroco l’idea di decorare i riquadri con motivi geometrici o floreali a colori. Il lavoro mi fu imposto e non potei rifiutare anche se tentai di farlo, con insistenza, consapevole com’ero della mia assoluta inesperienza e inettitudine. L’idea era venuta al parroco perché sapeva che amavo il disegno e avevo già progettato il bassorilievo della porticina del Tabernacolo e due angioletti d’argento che reggono la corona sopra l’immagine della bella Madonna seicentesca. Ripeto che non potei rifiutare, quindi devo tornare a parlare delle mie vicende personali.

Ho detto che nel 1944 avevo conseguito la licenza ginnasiale, un titolo di studio che non offre nessuna possibilità di impiego. Questo mi ripeteva tante volte don Foschini, incoraggiandomi a continuare gli studi privatamente, dal momento che non avevo nemmeno la bicicletta per andare a Faenza. Personalmente mi avrebbe fornito tanti libri, anche molto vecchi, che possedeva e che erano necessari per lo studio della letteratura italiana, del latino e del greco antico.

Si sentiva in grado anche di rivedere i miei esercizi scritti e di ascoltare la mia preparazione orale. Era stato iscritto all’università, anche se ora non la frequentava più.
Decisi di accettare e, anno per anno, sostenendo gli esami privatamente, nel 1948 ottenni la licenza liceale che mi permise di iscrivermi alla facoltà di lettere classiche presso l’università di Bologna.

Quando, nel 1952 si parlò del soffitto della chiesa, avevo appena sostenuto l’esame scritto di latino, superandolo, anche se era considerato uno degli ostacoli più gravi della facoltà. Per questo non potei rifiutare il lavoro proposto anche se ero proprio convinta della mia incapacità, quindi, anche se malvolentieri, mi misi all’opera.

Per prima cosa eseguii degli schizzi dietro suggerimento del “committente” poi li ingrandii su fogli di carta da pacchi e li riportai, con carta copiativa, sui pannelli che il falegname mi forniva direttamente a casa mia. Per colorarli mi furono consigliati, dal commesso di un negozio di Faenza, dei colori a olio, che non avevo mai usato. L’idea dei “rosoni” tutti uguali fu scartata da don Foschini, che preferì rappresentare dei simboli religiosi che, per forma e dimensioni, risultassero abbastanza armonizzati.

Spulciando vecchi testi sacri o lavorando di fantasia “inventammo” una specie di storia della salvezza, dalla creazione del mondo ai giorni nostri.

Si passò attraverso simboli religiosi, ad esempio i dieci versetti del Padre nostro, le quattordici “stazioni” della Via Crucis, i misteri del Santo Rosario, le principali feste religiose e vari altri argomenti per 144 motivi diversi.

Da parte mia cercavo altre idee, inventavo forme diverse, anche se non ero mai convinta di quello che facevo. Non lo sono nemmeno oggi, dopo tanto tempo. Tuttavia “la cosa” è là e qualcuno forse è curioso di capire quel “lavoro” che non assomiglia a nessun altro, se non al soffitto di un’altra chiesa di Faenza, quella di S. Giuseppe Artigiano, nata, sempre per idea di Don Foschini, per opera di mani più abili e più esperte delle mie: Dalmonte, uno scultore-ceramista di professione.

Non è possibile descrivere qui tutti i pannelli, però mi sembra necessario spiegare la presenza e il significato degli ultimi, che sostituiscono le “firme” del committente (Foschini) e dell’autrice (Morini).

                             

Sono gli stemmi cosiddetti “araldici” (non certo nobili), reperibili, con quelli dei più diffusi cognomi romagnoli, in un antico volume della biblioteca comunale di Faenza. Per ultimi compaiono l’anno di esecuzione (1952) e lo stemma del comune di Solarolo a cui la parrocchia di Gaiano appartiene.

Se qualcuno fosse curioso di sapere quanto tempo ha richiesto l’esecuzione del lavoro, sono in grado dirlo: “persi tempo” per circa tre mesi, pur continuando a studiare.

[ M.M.]